In breve:
Il caso del dominio
Chiunque lavori con la proprietà industriale sa bene quanto i nomi a dominio rappresentino oggi una risorsa fondamentale per l’identità digitale di un’azienda. Non si tratta solo di uno strumento tecnico per rendersi raggiungibili su Internet: un dominio può diventare veicolo di reputazione, canale di vendita, espressione del marchio stesso. Per queste ragioni la loro tutela deve essere affrontata con la stessa serietà riservata ai marchi registrati, ai brevetti o ai design industriali.
Un esempio emblematico ci viene offerto dalla decisione della Camera Arbitrale di Milano che ha riassegnato alla Luigi Lavazza S.p.A. il dominio
Questa vicenda non è isolata, anzi rivela un trend in crescita e analizzarla nel dettaglio significa offrire al lettore un punto di partenza nella comprensione delle connessioni tra branding digitale e tutela legale.
Il dominio
Nel giro di poche settimane, Lavazza individua il sito web associato a quel dominio e si attiva per bloccarne l’utilizzo avviando una procedura oppositiva per contestare l’uso illecito e ingannevole dell’indirizzo web. Dalle risultanze processuali emerge che il sito ospitato all’indirizzo
Ma lo scopo reale di questo sito web sembrava un altro: raccogliere dati personali e finanziari per finalizzare acquisti simulati in un contesto che richiamava le dinamiche del phishing, sebbene non esplicitamente qualificato come tale nel procedimento arbitrale.
Dopo inutili diffide e tentativi di disattivazione tramite l’hosting provider, e nonostante il sito fosse stato in seguito modificato per ospitare annunci pubblicitari di prodotti concorrenti, Lavazza ha promosso un’azione davanti alla Camera Arbitrale di Milano. Il resistente non si è mai costituito nel procedimento e il collegio, valutando la documentazione e le circostanze, ha accertato la confondibilità del nome a dominio con il marchio Lavazza, l’assenza di diritti in capo al resistente e la malafede della registrazione, ordinando così la riassegnazione del nome a dominio all’azienda ricorrente.
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Schermata del sito web ingannevole. Il marchio “LAVAZZA” veniva ampiamente riprodotto in versione denominativa e figurativa; il disclaimer recava i dati societari della Ricorrente. Queste deliberate scelte erano messe in atto per confondere i visitatori portandoli a credere di essere su un sito ufficiale di Lavazza. |
I motivi della crescente incidenza di episodi simili sono molteplici. In primo luogo il basso costo e la semplicità procedurale per registrare un dominio consentono a chiunque di appropriarsi di combinazioni di nomi attraenti, evocativi o associabili a brand consolidati. A ciò si aggiunge l’enorme varietà di estensioni disponibili (.it, .com, .co, .shop, .eu, ecc.), che moltiplica le possibilità di confusione.
Ma non si tratta sempre di tentativi maldestri perché, in molti casi, dietro al cybersquatting si cela una strategia ben pianificata per rivendere i domini a prezzi maggiorati, reindirizzare traffico web, compromettere la reputazione aziendale, oppure trarre profitto da truffe digitali.
La facilità con cui è possibile nascondere la propria identità nei sistemi di registrazione WHOIS (grazie ai servizi di privacy masking) rende difficile anche solo risalire al titolare effettivo del nome a dominio.
In alcuni casi, come accaduto in questa vicenda, il nome a dominio viene impiegato per attività di domain parking, ossia per mostrare pubblicità generate automaticamente. Quando queste pubblicità riguardano brand concorrenti, il traffico attirato dal nome confondibile genera profitti indiretti per il cybersquatter, aumentando il danno per il titolare legittimo del marchio.
In Italia i domini nel TLD “.it” sono amministrati dal Registro .it, sotto l’egida del CNR. In caso di controversie è possibile attivare una procedura di riassegnazione prevista dal Regolamento per la risoluzione delle dispute nel ccTLD “.it”. L’articolo 3.1 di tale Regolamento stabilisce che un nome a dominio può essere riassegnato se:
Questo impianto normativo è del tutto coerente con quanto previsto in ambito internazionale dalla Uniform Domain-Name Dispute-Resolution Policy (UDRP), adottata da ICANN per i domini generici (.com, .net, ecc.), ma si applica, nel caso italiano, solo ai domini “.it”.
A livello europeo, il Regolamento UE 2017/1001 sul marchio dell’Unione europea include tra le violazioni anche gli utilizzi non autorizzati del segno distintivo online, rafforzando la posizione dei titolari di marchio nelle dispute sui domini. Inoltre la Direttiva UE 2015/2436 (recepita nel nostro ordinamento) impone agli Stati membri di garantire strumenti efficaci contro l’uso illecito dei marchi anche in ambito digitale.
La prima e più ovvia strategia è di natura difensiva: registrare il prima possibile tutti i nomi a dominio potenzialmente interessanti per l’attività. Questo include non solo il nome aziendale esatto, ma anche le sue variazioni, le versioni abbreviate, le denominazioni geografiche (come “italia”, “europa”, “store”) e le estensioni principali (.it, .com, .eu, .net, ecc.). È noto infatti che aziende strutturate detengano centinaia o migliaia di domini con queste caratteristiche, proprio per evitare registrazioni speculative da parte di terzi.
Altre strategie comprendono:
Qualora una registrazione abusiva venisse comunque effettuata, la risposta deve essere tempestiva. Oltre alle diffide extragiudiziali è possibile attivare la procedura di riassegnazione del dominio presso uno degli organismi accreditati dal Registro .it, i quali garantiscono tempi rapidi e costi contenuti rispetto ad un contenzioso ordinario.
Nel caso Lavazza, il nome a dominio non si limitava a violare un diritto formale bensì veniva attivamente adoperato per imitare il sito ufficiale della società con conseguenze potenzialmente devastanti: danni alla reputazione, perdita di fiducia da parte dei consumatori, esposizione a richieste risarcitorie in caso di frodi andate a buon fine.
Simili situazioni vanno oltre il semplice cybersquatting e possono integrare fattispecie penalmente rilevanti come la truffa, l’accesso abusivo a sistemi informatici e l’usurpazione di identità. La difficoltà di perseguire penalmente questi atti, specie quando i soggetti sono domiciliati all’estero o utilizzano hosting provider opachi, rende ancora più prezioso il ruolo della procedura di riassegnazione come strumento di contenimento rapido del danno.
Non sempre chi registra un nome a dominio simile a quello di un marchio lo fa in malafede. Esistono casi di omonimia (ad esempio un privato con cognome Lavazza), oppure registrazioni fatte in un ambito commerciale/operativo del tutto diverso. In questi casi la legittimità della registrazione dipende da diversi fattori che possiamo identificare nelle seguenti circostanze:
Proprio per questa ragione i collegi arbitrali valutano caso per caso, con attenzione alla proporzionalità e all’equilibrio tra diritto al nome e tutela del marchio.
Questa singola vicenda racconta una grande verità: ogni azienda dovrebbe considerare la protezione dei propri domini alla stregua di una polizza assicurativa: un investimento tutto sommato contenuto, ma capace di prevenire perdite ben più gravi.
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Data
08/06/2025Categoria
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