proprieta industriale e genai tra rischi giuridici e nuove strategie

Come cambia la tutela di marchi, brevetti e design nell'era dell'intelligenza artificiale generativa


Chiunque operi nel mondo della proprietà industriale si trova oggi di fronte ad una trasformazione senza precedenti: i contenuti generati da intelligenze artificiali non solo sono una realtà quotidiana, ma pongono interrogativi concreti su cosa significhi tutelare un'invenzione, un marchio o un design quando la creazione o l’elaborazione dei contenuti non avvenga più necessariamente per mano umana.
 

L’intelligenza artificiale generativa produce contenuti, apprende da miliardi di dati e genera output simili ad opere, segni e soluzioni già esistenti in modo veloce, pervasivo, spesso poco trasparente. A fronte di questa trasformazione, il sistema della proprietà industriale è chiamato ad una revisione profonda dei suoi strumenti.
 

Il recente studio dell’EUIPO del maggio 2025 (“The development of generative artificial intelligence from a copyright perspective”) mette nero su bianco l’impatto di questa tecnologia sul quadro giuridico europeo. Non si tratta solo di aggiornare norme; si tratta di difendere la competitività delle imprese, la loro reputazione e il valore stesso della creatività tecnica, industriale e distintiva.

 

Dalla proprietà alla perdita del controllo: quando i dati diventano invisibili

Secondo il rapporto EUIPO, il valore economico della proprietà industriale nell’Unione europea è enorme: oltre 17 milioni di posti di lavoro e quasi il 7% del PIL sono riconducibili a settori ad alta intensità di IP. Ma se finora la tutela della proprietà intellettuale, in particolare nel diritto d’autore, si fondava sull’identificabilità dell’autore e sull’originalità dell’opera, oggi la GenAI mette in discussione proprio queste basi.
 

Anche altri ambiti della proprietà industriale, brevetti, marchi e design, risultano esposti a nuove incertezze non tanto sull’identità del titolare, quanto sulla tracciabilità, l’originalità percepita o la distintività dei contenuti generati artificialmente.
 

Difatti una delle caratteristiche più problematiche della GenAI è proprio la sua opacità che vede modelli di IA apprendere da milioni di dati, spesso prelevati automaticamente dal web in un processo noto come web scraping. Nessuna azienda può sapere con certezza se parti del proprio know-how, dei propri testi tecnici o progetti grafici siano stati inclusi nei dataset di addestramento.
 

Qui nasce un primo rischio giuridico: se un contenuto aziendale coperto da segreto commerciale o protetto da brevetto viene usato per addestrare un modello, il titolare dei diritti potrebbe non accorgersene mai. E anche nel caso se ne accorgesse, difficilmente potrebbe provarlo.
 

L’intero processo di apprendimento della GenAI è poco documentato, frammentario e quasi impossibile da verificare. In questi casi anche l’applicazione delle norme nazionali in materia di proprietà industriale, come il Codice della proprietà industriale italiano (CPI), si scontra con un problema di tracciabilità, soprattutto quando si tratta di tutelare know-how, design o elementi brevettabili che possono essere stati inclusi nei dataset di addestramento senza autorizzazione.
 

 

Design e marchi nei contenuti generati

Un secondo fronte critico riguarda i contenuti in uscita dai modelli generativi perché, sempre più spesso, immagini, loghi o testi prodotti dall’IA somigliano in modo preoccupante a marchi registrati, design noti o elementi visivi protetti. Anche se non si tratta di copie intenzionali, il risultato può comunque generare confusione, associare un brand a messaggi fuorvianti o indebolire la distintività di un marchio.
 

In questi casi la contraffazione assume forme nuove: non è più l’imitazione diretta da parte di un concorrente, ma la produzione automatica da parte di un sistema che attinge da dati preesistenti mescolandoli in modo imprevedibile.
 

Stiamo dunque percorrendo un terreno delicato dove le norme esistenti non sempre offrono una risposta chiara; basti ricordare che il Regolamento sul marchio dell’Unione europea e quello sui disegni e modelli tutelano efficacemente la proprietà industriale, ma sono nati in un contesto dove l’autore era sempre umano.
 

 

La tutela dei dati industriali richiede trasparenza e governance

Un altro aspetto spesso trascurato riguarda i dati aziendali interni: diagrammi, schede tecniche, istruzioni, progetti, manuali d’uso. Questi contenuti, se diffusi online anche per errore, possono essere raccolti dai crawler delle IA e diventare parte del materiale di addestramento. E se entrano nel modello, diventano irrecuperabili
In alcuni casi queste raccolte di dati strutturati, se organizzate in modo sistematico, possono beneficiare di una protezione specifica come database, ai sensi della Direttiva 96/9/CE. Questo diritto sui generis tutela l’investimento sostanziale nella raccolta, verifica o presentazione del contenuto. 
Tale protezione, spesso sottovalutata, può rappresentare uno strumento importante per le imprese nel contrastare l’uso non autorizzato dei propri archivi nei processi di training dell’IA.
 

È anche bene precisare che il Regolamento europeo sull’IA, approvato nel 2024, ha introdotto alcuni obblighi per i fornitori di modelli generali; in particolare questi devono pubblicare un riepilogo del materiale usato per il training. Queste misure di trasparenza si affiancano alla facoltà già prevista dalla Direttiva CDSM di riservare i propri contenuti dal text and data mining, tema su cui torneremo più avanti.
 

Sebbene tale obbligo rappresenti un passo avanti, non è sufficiente a garantire un controllo reale. Le imprese hanno quindi bisogno di strumenti autonomi per proteggere il proprio patrimonio informativo adottando policy chiare di accesso ai dati e misure di riservatezza che tengano conto del rischio di training non autorizzato.
 

 

L’opt-out è un diritto da esercitare, ma che deve funzionare

Proprio per ridurre il rischio di utilizzi non autorizzati, la normativa europea prevede che i titolari di diritti possano riservarsi la facoltà di escludere le proprie opere dal text and data mining, cioè dall’addestramento dei modelli generativi. Questa possibilità, disciplinata dall’articolo 4 della Direttiva sul copyright nel mercato unico digitale (CDSM), consente di esprimere un’opposizione formale a patto che sia pronunciata utilizzando strumenti o formati automaticamente riconosciuti e interpretati dai sistemi informatici, senza necessità di intervento umano.
Strumenti come il file robots.txt, i metadati o lo standard TDMRep sono pensati proprio per rendere efficace questa riserva, ma la loro adozione resta volontaria e la loro efficacia dipende dalla cooperazione degli sviluppatori di IA.
 

Purtroppo in assenza di regole vincolanti, il rischio è che questi meccanismi rimangano lettera morta. Ne consegue la necessità di un intervento coordinato tra imprese, enti regolatori e piattaforme per costruire uno standard comune.
 

 

La strada del licensing dei dati industriali

C’è però anche una lettura differente: non tutte le aziende scelgono di opporsi all’uso dei propri dati, iniziando a valutare l’idea di concederli in licenza, a condizioni precise, trasformando un rischio in una nuova fonte di ricavo. Secondo il report dell’EUIPO si stanno infatti affermando modelli contrattuali flessibili in grado di adattarsi alle esigenze del settore industriale: licenze per volume di dati, per utilizzo o basate su condivisione dei ricavi.
 

Settori come l’editoria tecnica, la moda, l’automotive e il design possono trarre vantaggio da questa dinamica, soprattutto se si affidano a soggetti specializzati nella gestione dei diritti o se aderiscono a piattaforme collettive in grado di negoziare per conto di più titolari.
 

 

Cosa può fare oggi un’impresa? Un approccio proattivo e integrato

Il messaggio che arriva dal report dell’EUIPO è chiaro: aspettare non è più un’opzione.

Le aziende devono dotarsi di strumenti legali e tecnici per esercitare l’opt-out in modo efficace, monitorare attivamente l’uso dei propri asset nell’ecosistema IA, partecipare ad iniziative di standardizzazione e valutare attentamente le opportunità di licenza.
 

Può essere utile valutare anche combinazioni di azioni: 
alcuni dati vanno riservati, altri possono essere condivisi a pagamento. 
Alcuni marchi vanno difesi con forza, altri possono essere oggetto di partnership. 
Serve dunque una strategia flessibile che tenga conto del nuovo equilibrio tra protezione e valorizzazione.  


La strada è ormai tracciata: l’intelligenza artificiale generativa potrà creare valore, ma solo chi saprà gestire con consapevolezza il rapporto tra innovazione e diritti ne trarrà reale beneficio.

Data

23/06/2025

Categoria

notizia

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